Rapimento e segreti di Stato. Che fine ha fatto Davide Cervia? Misteri..



Davide Cervia

Davide Cervia nasce a Sanremo nel 1959, dove risiede con la famiglia fino al 1978. Dopo il diploma di perito elettronico, all’età di 19 anni decide di arruolarsi come volontario in Marina, entrando a far parte come sottufficiale degli addetti agli armamenti tecnologici della nave Maestrale.

Nel 1980, frequenta il corso di specializzazione che lo aveva qualificato esperto in guerra elettronica con la sigla ETE/GE.  Rinuncia però a rimanere in servizio fino al termine della ferma di sei anni.

Nel 1982 conosce Marisa Gentile che sposa in quell’anno e con la quale avrà due figli: Erika e Daniele. Dopo il matrimonio, comincia a provare insoddisfazione per i lunghi periodi di lontananza dalla nuova famiglia che si è formato e decide di congedarsicon un anno di anticipo sulla scadenza naturale.

Nel 1984si congeda con il grado di sergente.

Nel 1988 si trasferisce a Velletri, dove lavora per la società ‘Enertecnel Sud’, che ha sede presso Ariccia, trenta minuti di auto dalla sua abitazione.

Il 12 settembre 1990 scompare da casa a Velletri.

Alle iniziali reticenze ed ipotesi di allontanamento volontario sostenute dalle forze dell’ordine, si oppongono due testimoni dell’eventuale sequestro e la convinzione della famiglia di un rapimento, connesso alle sue conoscenze tecniche e militari alla vigilia della Guerra del Golfo.

Il testimone

Velletri(Roma), 12 settembre 1990 (giorno della scomparsa): Mario, un anziano che vive solo da anni, custode di una villa vicino all’abitazione dei Cervia, assiste ad una scena cruenta. Una autovettura si ferma, alcuni sconosciuti afferrano un uomo, tappandogli la bocca, l’auto riparte a gran velocità. Un rapimento.

Nonostante la testimonianza, la Procura generale presso la Corte d’appello di Roma archivia il fascicolo nel 2000, confermando il rapimento, ma rassegnandosi all’impossibilità di individuare i colpevoli.

Marisa Gentile, la consorte di Davide Cervia, casualmente viene messa sulla pista giusta da un collega di Davide ancora in servizio. Quando Marisa lo mette al corrente di tutto l’accaduto, il militare non esita a collegare la specializzazione conseguita da Davide con la sua sparizione.

L’uomo sequestrato ha 30 anni, si chiama Davide Cervia, ed è un ex sottufficiale della Marina militare, un tecnico qualificato, esperto in radar e intercettatori. E forse non è un caso che il suo sequestro avvenga quando manca ormai pochissimo alla prima guerra del Golfo, la prima guerra contro Saddam Hussein.

Davide Cerviaall’epoca lo sanno in pochiè uno dei massimi esperti italiani in guerra elettronica. La sua qualifica, prima di lasciare la carriera militare, era quella di GE.  Da qualche tempo non si occupa più della sua specializzazione. La vita militare gli andava un po’ stretta.  E allora ha scelto di tornare civile, trovarsi un impiego in un’azienda elettronica di Ariccia, sposarsi con Marisae avere due figlie.

Una vita tranquilla la sua, in una villetta di Velletri. Tranquilla fino a quando Davide non è scomparso nel nulla.

Sulle prima la magistratura sceglie la pista di indagine più banale e scontata: la fuga d’amore. Ma troppe cose non tornano: intanto le minacce che arrivano alla moglie, le telefonate strane, misteriosi personaggi che interrogano e cercano di irretire chi conosceva Davide e anche chi a quell’indubbio sequestro di persona ha assistito.

C’è poi uno sospetto atteggiamento delle autorità militari. Perché dal suo “ruolino” la Marina fa scomparire tutti i riferimenti alla sua specializzazione?

Segnalazioni, danno Cervia in Libia, ma forse si tratta solo di depistaggi. Dov’è finito realmente Davide Cervia?
Sembra impossibile, conoscere il destino dell’ex sottufficiale. E tutto sommato è logico che sia così. Tanti sono i fantasmi che si muovono dietro le quinte. Basti pensare a quello che scrive il Sismi in un documento riservato, dove considera l’ipotesi del «sequestro di persona operato da non meglio identificate organizzazioni straniere», specificando che «ricorrono i nomi di Libia, Iran, Iraq e Israele» e concludendo che non è da escludere «la complicità di organismi italiani». La stessa convinzione che maturano i parenti del sottufficiale, certi che il rapimento sia avvenuto apposta alla vigilia della prima guerra del Golfo, quando il nome dell’Italia ricorreva «nei traffici, leciti o meno leciti, di armamenti e esperti in grado di farli funzionare al meglio».
Nasce così il Comitato per la verità su Davide Cervia, presieduto dal regista Citto Maselli, che raccoglie diecimila adesioni in tutta Italia. Ma la verità sulla fine di Davide Cervia resta avvolta nel mistero più fitto.
Davide Cervia, ex militare e tecnico di guerra elettronica, è sparito nel nulla. Una sentenza ne riconosce il rapimento. Ma nessun responsabile è mai stato trovato né cercato.

Qualche mese dopo il “rapimento”, due persone si presentano a casa di Mario. Affermano di essere due agenti assicurativi, ma il loro tono è arrogante e perentorio, insistono per entrare in casa, dicono che devono parlargli. L’agricoltore non si fida dei due e riesce a riparare all’interno dell’abitazione.

Marisa Gentile, la consorte di Davide Cervia, casualmente viene messa sulla pista giusta da un collega di Davide ancora in servizio. Quando Marisa lo mette al corrente di tutto l’accaduto, il militare non esita a collegare la specializzazione conseguita da Davide con la sua sparizione.

Un ispettore della Digos incontra Marisa. E’ insistente: vuole sapere il nome di un ex collega di Davide che prestava servizio a La Spezia ma che è di Napoli. E’ questa una descrizione che permette a Marisa di capire subito a chi si riferisce l’ispettore della Digos. Si tratta di una persona che ha fornito alla famiglia indicazioni sul passato in Marina di Davide, successivamente rivelatesi di estrema utilità. In quel momento -ricorda Marisa- ebbi la certezza che le mie conversazioni telefoniche erano regolarmente ascoltate, perché con quella persona ho parlato soltanto al telefono”. In seguito si presenta a casa di questo ex collega di Davide un uomo, con la scusa di un censimento sulle Fiat Uno (sic): in realtà è un uomo con incarichi non precisati in Polizia. Se il suo scopo è di intimorire il marinaio, la missione può considerarsi un successo. Da quel momento Davide chiede a Marisa di non contare più su di lui.

Al convento dei Cappuccini di Velletriarriva una lettera anonima da Grottaglie, località in provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di un ex sottufficiale di Marina, “agganciato” da strani e misteriosi individui che gli chiedono di svolgere il lavoro che sa, se vuole evitare guai. Il fatto che la missiva non sia firmata è giustificato dalla paura di essere individuati e di esporsi quindi a rischi troppo elevati. La speranza dell’anonima scrivente è che l’inchiesta vada avanti e che “i magistrati indaghino meglio nei servizi segreti” per venire a capo della verità.

Il 12 settembre 1994 il Comitato per la verità su Davide Cervia occupa per dodici ore l’ufficio del capo-gabinetto del Ministero della Difesa, alla presenza di numerose telecamere e giornalisti di varie testate.

Lo Stato Maggiore della Marina fornisce ai familiari di Davide ben quattro fogli matricolari diversi, prima di arrivare a quello reale, in cui viene ammessa la qualifica di “specialista Ete/GE (tecnico elettronico/guerra elettronica).

L., un altro collega di Davide Cervia, riferisce: “Il nostro corso in Marina militare era inizialmente di 900 persone. Quando si frequenta il corso base, non sai neppure che esistono le guerre elettroniche. Gli Elt, i tecnici elettronici, erano 120. Dopo i primi tre mesi di corso siamo diventati 90. Dopo un anno, siamo diminuiti a 50 persone. Alla fine del secondo anno, abbiamo portato a termine il corso in 22, di cui solo 6 sistemisti. Noi eravamo orgogliosi di un radar ideato dalle industrie belliche italiane, un radar tridimensionale. Quello che non capivamo proprio, che anzi ci faceva andare in collera, era averlo venduto a 109 paesi. Noi sistemisti siamo stati invitati a compiere “gite turistiche” con le navi, che avevano lo scopo di magnificare e vendere i nostri armamenti ai paesi stranieri. Non immaginavamo per niente il giro di soldi che era dietro al traffico d’armi.

La palazzina dove studiavamo aveva le porte blindate. Eravamo tenuti sotto controllo dai servizi. Scoprivi così che il tuo amabile interlocutore del treno era un uomo della “sicurezza”che ti controllava. All’inizio del corso si presta un giuramento di particolare riservatezza, di livello NATO. Questo giuramento ti permette di accedere a tutti gli uffici che hanno una classe di segretezza affine alla tua.

Per un paese straniero è quasi impossibile formare dei propri tecnici, perché ci sono delle nozioni-chiave di base per cui neanche un ingegnere elettronico riesce a leggere i manuali delle singole apparecchiature che leggiamo noi. Ma non è un problema d’intelligenza. Ci sono delle chiavi precise per capirle. Io ho conosciuto Davide Cervia alla scuola sottufficiali di Taranto nel 1979. Lui era entrato sei mesi prima di me. Era capo-corso, il primo degli allievi.

“Le indagini ufficiali sono ferme a quel 12 settembre 1990 ed il silenzio, come una pietra tombale che grava su tutti i segreti italiani, rischia di far dimenticare una vicenda drammatica che coinvolge i nostri servizi segreti, sempre loro, lo Stato maggiore della Marina militare ed i trafficanti di tecnologia militare.

Il magistrato che conduce le indagini convoca per la prima volta la moglie di Davide Cervia, Marisa Gentile, dopo sei mesi esatti dalla scomparsa del tecnico. Il sostituto procuratore, Romano Miola, che segue il caso, l’attende nel suo ufficio, ma non è solo. Con lui si trova il procuratore capo, Vito Giampietro, anzi è proprio lui ad interrogarla. Fin dall’inizio il contatto con la Procura non è sereno. Il procuratore chiede a Marisa Gentile di rispondere alle domande con un “sì'” o con un “no” e, ad ogni tentativo della donna di spiegare meglio varie circostanze, viene bruscamente invitata ad attenersi alle richieste o, nella migliore delle ipotesi, interrotta. Il dottor Giampietro contesta ogni episodio riportato dalla moglie del tecnico rapito.

La giornalista Laura Rosati chiede di essere ricevuta dal sostituto Miolail quale, non conoscendo il motivo della visita, è molto cordiale. Il cambiamento del suo atteggiamento è, però, tanto repentino, quanto radicale, non appena viene pronunciato il nome di Davide Cervia. Alzandosi di scatto, terreo in volto, ripete ossessivamente, mentre addirittura volta le spalle all’interlocutrice: “Non posso dire niente, vada via!”.

Le intimidazioni colpiscono un po’ tutticoloro che tentano di scoprire che cosa si celi dietro il rapimento di Cervia.

Nonostante l’importanza delle affermazioni di L., un ex militare che aveva studiato guerre elettroniche a Taranto con Davide Cervia, gli inquirenti non danno peso alle rivelazioni sulle guerre elettroniche e sulle “gite” che i militari della Marina italiana compiono per pubblicizzare nel mondo il sistema d’arma in cui è specializzato Davide Cervia.

L., dopo essersi congedato dalla Marina per un incidente, viene avvicinato da uno sconosciuto che gli propone di tornare al suo vecchio lavoro in cambio di soldi. Non accetta. Viene minacciato. L’impianto elettrico della sua auto prende fuoco (come era accaduto a Davide Cervia). Riceve una telefonata: “Hai visto? Può essere l’auto, può essere qualsiasi cosa.” L. racconta agli inquirenti di conoscere la situazione di altri tecnici specializzati in guerra elettronica minacciati da sconosciuti, ma il titolare dell’inchiesta non gli chiede nemmeno di chi si tratta. Riceve altri avvertimenti nell’ottobre 1990, poco dopo il rapimento di Cervia. L. vive ancora oggi nascosto. Nessuno lo protegge.

Gli inquirenti prestano, invece, ascolto ad un certo Giuseppe Carbone, di Taranto. Spunta fuori il 22 gennaio 1991. Carbone è la persona giusta al momento giusto. Con la sua versione, tutto quadra per chi propende per la tesi dell’allontanamento volontario. Nessun intrigo internazionale, nessun rapimento. Ci sono, però, molti dati di fatto che hanno permesso di appurare come Giuseppe Carbone non abbia mai conosciuto Davide Cervia. Eppure occorrono affinché gli inquirenti si accorgano dell’impresentabilità di Carbone. Nessun procedimento per falsa testimonianza pende sul suo capo. Rimane il mistero su chi gli abbia fornito tutte le informazioni su Davide, ma soprattutto ci si chiede come possa conoscere così bene gli ufficiali che lavorano al ministero della Difesa a settecento chilometri da casa sua. Carbone ha una fedina penale consistente: appropriazione indebita, emissione di assegni a vuoto (un reato commesso due volte), reati amnistiati ma che non dovrebbero sfuggire al vaglio di chi indaga su Cervia.

Quando alla moglie di Cervia arrivano le minacce di morte che investono tutta la sua famiglia, la donna decide, per alcuni giorni, di non mandare i figli a scuola. Due carabinieri vanno più volte a scuola per verificare la possibilità di denunciare Marisa Cervia per il mancato adempimento degli obblighi scolastici nei confronti dei figli. La procedura è anomala perché spetta ai capi d’istituto segnalare eventuali inadempienze circa gli obblighi scolastici per opera dei genitori.

Alla trasmissione televisiva “I fatti vostri”, Marisa Cervia racconta di aver ricevuto l’offerta di cinquecentomila euro affinché non cerchi più Davide.

Lo scorso luglio il Segretariato generale della presidenza ha risposto per conto di Giorgio Napolitano alla famiglia Cervia, ma Marisa Gentile definisce quel documento «vago e insufficiente».
Nel 2012 la famiglia ha presentato una causa civile contro i ministeri della Difesa e della Giustizia.
L’avvocato Licia D’Amico prova a far luce su questa inquietante vicenda e in un’intervista ad Affaritaliani.it, riferisce: “Ci sono stati depistaggi e omissioni”. La Marina ha provato a nasconderlo, ma “Davide aveva competenze uniche, l’ipotesi è che sia stato venduto a un Paese straniero come la Libia o l’Iraq. La sua famiglia ha subìto intimidazioni e minacce, c’è stata anche una strana esplosione nella loro casa”. Sul coinvolgimento di alte autorità dello Stato: “Le istituzioni non ci hanno aiutato, anzi hanno reso più difficile il raggiungimento della verità”.
Avvocato Licia D’Amico, secondo lei le indagini sulla scomparsa di Davide Cervia sono state fatte bene?

Assolutamente no. C’è una causa civile che pende proprio sulla violazione del principio fondamentale della verità della giustizia. Il nostro studio, lo studio Galasso, ha portato a compimento lo stesso aspetto a proposito della strage di Ustica. In quel caso abbiamo ottenuto l’affermazione dell’esistenza nel nostro ordinamento di un diritto fondamentale alla verità e alla giustizia. La stessa cosa abbiamo prospettato al giudice civile a Roma e siamo nella fase iniziale del processo. Abbiamo presentato molteplici prove a sostegno della nostra tesi, ora il giudice dovrà decidere se ammetterle o meno.

Voi e la famiglia Cervia contestate depistaggi, ritardi e omissioni. A che cosa fate riferimento?

Davide Cervia è sparito 23 anni fa. E, come è stato scritto anche negli atti giudiziari, è stato rapito. A oggi non si è arrivati a una verità piena. Nel senso che ci sono provvedimenti giudiziari nei quali si riconosce che è stato rapito, ma lo si è riconosciuto solo al termine di una battaglia giudiziaria infinita fatta dalla famiglia. In fase iniziale si sosteneva che fosse scappato di casa per motivi sentimentali… le solite storie… ora si dice anche che è passato troppo tempo: “non riusciamo più ad accertare la verità”.  Resta da capire chi è che ha fatto passare tutto quel tempo…

All’inizio però si era parlato di un allontanamento volontario. La famiglia non ci ha mai creduto?

Era una tesi che non aveva nemmeno una parvenza di credibilità. C’era un testimone che aveva assistito al rapimento, un altro che aveva visto la macchina che si allontanava… E poi c’erano dei comportamenti di Davide che andavano in senso totalmente opposto. Pensi che aveva appena prenotato il fotografo per l’anniversario di nozze…. Insomma, quella dell’allontanamento volontario era proprio una cosa insostenibile, sin dal primo minuto.

Come spiega allora questo errore da parte della magistratura?

La questione è scottante, perché l’attività che faceva Davide era un’attività particolare. Era un esperto di guerre elettroniche, e nel 1990 come lui ce n’erano pochissimi non solo in Italia ma anche in tutta Europa. Era in grado di fare la manutenzione di sistemi di puntamento. Se si torna con la mente a quello che era il bacino del Mediterraneo 23 anni fa ci si accorge che certamente poteva esserci interesse nel vendere delle armi e vendere un soggetto che sapesse aggiustare quelle armi e sapesse anche insegnare come usarle.

Esiste l’ipotesi che Davide sia stato venduto con la partecipazione o comunque con il silenzio, dallo Stato?
L’opinione della famiglia è questa e il quadro processuale rende plausibile questa ricostruzione.
Può essere stato venduto alla Libia?
La Libia è una delle ipotesi, a causa del suo ruolo nel Mediterraneo in quegli anni. Ma ci sono anche altre ipotesi di paesi della stessa area. Si parlò di diversi siti, tra i quali l’Iraq. Sarebbe interessante vedere quali di questi paesi avevano acquistato armamenti in quel periodo e potevano avere interesse alle capacità di Davide Cervia.
La moglie di Davide, Marisa Gentile, e i suoi due figli Erika e Daniele non si sono mai arresi e continuano a cercare la verità. Questo loro “attivismo” gli ha provocato qualche conseguenza?
Nel corso degli anni hanno ricevuto varie intimidazioni e minacce. Proprio un anno fa, a ottobre, la famiglia Cervia ha subìto un atto che lascia senza fiato. Il forno della dependance che c’è nel giardino di casa loro è improvvisamente esploso.
Crede che lo Stato non abbia interesse a scoprire la verità su Davide?
Le istituzioni, o almeno una parte di loro, hanno semmai reso più difficile il raggiungimento della verità e della giustizia. E lo hanno fatto in tutte le maniere. Le racconto un episodio del 10 ottobre scorso, accaduto presso il Tribunale di Roma dove si sta tenendo la causa civile. Due poliziotti in divisa sono entrati nell’aula del giudice subito dopo la fine della nostra udienza. La signora Marisa gli ha chiesto spiegazioni e loro hanno candidamente ammesso di essere entrati in tribunale per parlare di qualcosa a proposito della nostra udienza.
I figli di Davide, Erika e Daniele, hanno anche scritto un appello al Presidente Napolitano. Hanno ricevuto risposta?
Sì, dopo qualche tempo hanno ricevuto una risposta firmata dal consulente giudiziario Loris D’Ambrosio (deceduto qualche mese fa, ndr) nella quale venivano invitati ad avere fiducia nei giudici ai quali si erano rivolti. “In quella sede le vostre parole saranno ascoltate”, c’era scritto. In realtà è proprio quello che noi vorremmo ci fosse riconosciuto.
Crede che ci sia la possibilità che Davide sia ancora vivo?
E’ impossibile da dire con certezza, io posso esprimere solo un’opinione del tutto personale e che va presa solo per tale. Credo sia passato troppo tempo, Davide era una persona che aveva accesso a mezzi di comunicazioni sofisticati e penso che se fosse stato ancora vivo avrebbe dato un segno di sé. La famiglia però la pensa diversamente. In ogni caso credo che sarebbe ora di far venire fuori la verità su questa brutta storia.

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Pubblicato da Roby

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