Caso Ilva: Nichi Vendola sta per implodere, rinviato a giudizio con altre 49 persone

Svolta nel processo sull’Ilva di Taranto, tutti a Processo. Questa la richiesta che oggi la Procura di Taranto ha depositato alla cancelleria del giudice dell’udienza preliminare per i 53 indagati dell’inchiesta sul disastro ambientale dell’Ilva e tra le quali, spicca il nome di Nichi Vendola.

Caso Ilva: Nichi Vendola sta per implodere, rinviato a giudizio con altre 49 persone

Quindi,  50 persone e tre società vengono rinviati a giudizio, fra gli altri, la richiesta è stata depositata anche per il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, il sindaco di Taranto, Ezio Stefáno, l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, ma anche per gli attuali proprietari dell’Ilva, Emilio Riva e i figli Fabio e Nicola, nonché per il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano, gli ex direttori dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, l’ex addetto alle relazioni istituzionali dell’Ilva di Taranto, Girolamo Archiná, il direttore dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia, Giorgio Assennato, l’assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro, l’ex consigliere regionale della Puglia, oggi deputato di Sel, Nicola Fratoianni, e l’attuale consigliere regionale Donato Pentassuglia del Pd.

Associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale ed in concorso tra loro. Pesante l’accusa a carico dei proprietari dell’Ilva, i cosiddetti “fiduciari”, ovvero, gli uomini dei Riva che costituivano il governo ombra dell’azienda e i manager aziendali, ex e attuali. Secondo gli inquirenti della Procura di Taranto:

Con il loro operato, non impedivano con continuità e piena consapevolezza una massiva attività di sversamento nell’aria-ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne allo stabilimento, nonché rurali ed urbane circostanti lo stesso, in particolare Ipa, benzo(a)pirene, diossine, metalli ed altre polveri nocive, determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica e cagionando eventi di malattia e morte nella popolazione residente nei quartieri vicino al siderurgico e ciò anche in epoca successiva al provvedimento di sequestro preventivo di tutta l’area a caldo,  ossia, successivamente al 26 luglio del 2012.

Sono gravissime le accuse, che hanno portato il pool di magistrati della Procura di Taranto, alla decisione del  rinvio a giudizio del governatore della Puglia Nichi Vendola ed altre 49 persone, tra le quali, anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e l’ex presidente della Provincia Gianni Florido.

Ippazio Stefàno è accusato di omissioni in atti d’ufficio, perché in qualità di primo cittadino e quindi di autorità locale, avrebbe “omesso di adottare provvedimenti per prevenire e di eliminare i gravi pericoli” derivanti dall’allarmante situazione di emergenza dovuta ai veleni dell’Ilva di cui era a conoscenza.

Gianni Florido, finito in carcere il 15 maggio 2013, è accusato insieme all’ex assessore all’Ambiente, Michele Conserva e a Girolamo Archinà, di tentata concussione: secondo le dichiarazioni del dirigente Luigi Romandini, Florido e Conserva avrebbero fatto pressioni perché il dirigente rilasciasse l’autorizzazione alla discarica Ilva per permettere all’azienda di smaltire i rifiuti all’interno, “risparmiando” così milioni di euro, (ma avvelenando altrettante persone).

Caso Ilva: Nichi Vendola sta per implodere, rinviato a giudizio con altre 49 persone. Per Il governatore della Puglia Nichi Vendola, invece, l’accusa è di concussione. L’interrogatorio durato oltre sette ore, non ha convinto la Procura di Taranto dell’innocenza di Vendola nell’inchiesta  “ambiente svenduto” sull’Ilva di Taranto. Tutti quei  “non ricordo” proferiti durante l’interrogatorio, hanno fatto si che i magistrati della Procura decidessero per la richiesta di rinvio a giudizio a carico del leader di Sinistra ecologia e libertà.

Secondo il pool di magistrati coordinati dal procuratore Franco Sebastio, Nichi Vendola in accordo con Fabio Riva (proprietario della fabbrica “Ilva”) e l’ex potente responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, avrebbe “abusato della sua qualità di Presidente della Regione Puglia” e “mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico di direttore dell’Arpa Puglia”, ha costretto Giorgio Assennato ad ammorbidire la posizione dell’agenzia regionale di protezione ambientale “nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva s.p.a. ed a dare quindi utilità a quest’ultima, consistente nella possibilità di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni”.

In una nota del 21 giugno 2010, Giorgio Assennato, sulla scorta dei risultati dei campionamenti della qualità dell’aria eseguiti dall’Arpa nell’anno 2009, scriveva che “avevano evidenziato valori estremamente elevati di benzo(a)pirene e quindi, vi era l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”.

I risultati dell’Arpa, hanno fatto infuriare i Riva e Vendola che, il 22 giugno 2010 (il giorno successivo alla nota), hanno incontrato gli assessori Nicola Fratoianni e Michele Losappio, criticando con forza l’operato dell’Arpa e dichiarando: “cosi com’è, Arpa Puglia può andare a casa perché hanno rotto…” ribadendo che “in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni.

Secondo l’accusa, nell’arco di 24 ore, Nichi Vendola, i Riva, Archinà e l’allora direttore dell’Ilva Luigi Capogrosso, avrebbero convocato il direttore scientifico dell’agenzia Arpa Massimo Blonda,per ribadire quale era il loro concetto verso l’agenzia, ovvero: che cosi com’è, Arpa Puglia può andare a casa. Ma non solo, Giorgio Assennato (il relatore della nota), che pure era stato convocato, era stato lasciato fuori dalla stanza e su esplicita minaccia di Vendola ammonito dal dirigente Antonicelli, a non utilizzare i dati tecnici sul benzo(a)pirene come ‘bombe carta, poiché potrebbero trasformarsi in “bombe a mano”.

Vendola, arrampicandosi sui vetri si difende: “oltre all’ambiente – dice – abbiamo difefo la fabbrica e i lavoratori: fe quefto è un reato fono colpevole!“. E pensare che: “Per arrivare dov’è fì è fatto un culo cofì”. Come gli sarà diventato dopo quest’ultima carota giunta dalla Procura di Taranto?

Articolo tratto da: ilsole24ore e ilfattoquotidiano

Roberto Turi – @robylfalco 

Pubblicato da Roby

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