«Sono omosessuale, nessuno capisce il mio dramma e non so come farlo accettare alla mia famiglia».
E invece l’asserita omosessualità del ragazzino, scatena gli avvoltoi che non vedevano l’ora del caso di cronaca per chiedere “legge anti-omofobia subito”. Così si può tappare la bocca agli argomenti di chi si oppone a questa legge che non solo è liberticida ma, nel caso fosse approvata, rischierebbe di far aumentare i casi come quello registratosi ora a Roma proprio perché censura le vere domande. Vi risparmiamo i commenti dei presidenti di Arcigay, Flavio Romani, di Gaynet, Franco Grillini, e della Camera Laura Boldrini: è la solita, vergognosa, strumentalizzazione a fini politici di casi di cronaca, peraltro ancora da accertare. Perché gli studi ci dicono che il disagio, le difficoltà relazionali, a questa età sono molto diffuse e la crisi di tante famiglie, con l’infelicità e le sofferenze che comporta, rende più difficile la situazione: sono sempre meno gli adulti disposti ad ascoltare e aiutare questo disagio.
C’è bisogno di adulti in grado di trasmettere i valori veri, di educare alla vita, vale a dire testimoniare le ragioni per cui vale la pena vivere. E’ questa l’emergenza che abbiamo oggi in Italia.
Non è certo una novità, e non c’era bisogno di un caso come quest’ultimo di Roma per scoprirlo. Lunedì scorso, 5 agosto, nel dibattito alla Camera sulla proposta di legge anti-omofobia, il primo firmatario di questa proposta, Ivan Scalfarotto, aveva fatto esattamente la stessa cosa citando a lungo il caso di Andrea, noto come “il ragazzo dai pantaloni rosa”, suicidatosi a soli 15 anni, lo scorso 20 novembre.
A questo proposito voglio qui riportare la lettera che un insegnante ci ha inviato in redazione dopo aver letto dell’intervento di Scalfarotto su Andrea: “Quella di Andrea è una storia a dir poco terribile che il sottoscritto – in qualità di insegnante – ha ascoltato con un brivido lungo la schiena, e la voglia di piangere. Chi fa questo mestiere sa, infatti, quanta debolezza, solitudine, fragilità, caratterizzano gli adolescenti in generale, e quelli di oggi in particolare.
Andrea, questo il messaggio semplificante e mistificante di Scalfarotto, si è ucciso perché deriso per la sua omosessualità. E da questo ne deriverebbe che una legge in materia sia quanto mai necessaria.
A questo punto sorgono però degli interrogativi. Innanzitutto: è certo che Andrea è stato ucciso per il motivo addotto da Scalfarotto? Può darsi, ma non lo sappiamo. Non si può tuttavia celare che genitori e docenti hanno raccontato che Andrea non era affatto gay; era un ragazzo che soffriva, questo sì, e il suo dolore non è stata compreso dai suoi compagni di scuola.
A questo proposito, su un blog giovanile, Lorenzo Roselli ha giustamente commentato: “Non è la prima volta che l’omosessualità trasforma ragazzi emarginati ed incompresi in martiri della propria causa, quasi come se fossero vittime del rifiuto alla legge “gay friendly” di turno, anziché dei bulli e dell’omertà tipica dell’ambiente scolastico. (…) Definire poi “omofobia” la derisione di cui Andrea è stato oggetto è alquanto ridicolo (che questi fosse omosessuale o no) dato che, a meno di un secolo o due di rieducazione liberal in stile orwelliano, un ragazzo vestito solo esclusivamente di rosa e che si tinge le unghie apparirà per forza di cose “eccentrico” o come minimo “non normale”. E i ragazzi, lo sappiamo bene, sanno essere crudeli, soprattutto nella fase centrale dell’adolescenza”.
Domande troppo difficili, che metterebbero in crisi Scalfarotto (per lui “padre e madre”, un “genitore single”, una “coppia gay” sono da considerarsi indistintamente “famiglie” allo stesso modo), ma anche tutto il pensiero dominante, per il quale si può piangere con tanta retorica un ragazzo suicida, ma bisogna assolutamente omettere di indagare sulla sua vita affettiva familiare.
Veniamo ora alla seconda domanda per Scalfarotto: poiché i casi di bullismo che portano alla disperazione molti giovani sono i più vari, si dovrebbero pensare leggi e aggravanti per ogni fattispecie? Infatti, quanti sono i ragazzi vittime di bullismo non “omofobico”?
E’ esperienza comune di chi insegna notare che sempre di più il branco – “imbranchito” dai social network e dalla mancanza di comprensione della “emergenza educativa” in cui ci nuotiamo – emargina e attacca chi dimostri qualsiasi “anomalia”: vengono sfottute le ragazze che ad una certa età sono ancora vergini; quelle non proprio belle; gli alunni e le alunne ipovedenti, sordi o sordastri, o con altri handicap fisici… Viene maltrattato e sbeffeggiato chi studia troppo, o, talora, chi non studia affatto; chi viene promosso con alti voti, e chi viene bocciato (quanti sucidi da bocciatura, negli ultimi anni!)
Un altro esempio: una ragazza inglese 14enne, Hannah Smith, suicidatasi in Inghilterra perché derisa e vittima di abusi verbali sui social network. Ora suo padre, Dave Smith, chiede che il sito in questione, ask.fm, venga chiuso. ”Quanti teenager si devono uccidere a causa degli abusi online prima che si faccia qualcosa?”, si è chiesto il padre. Hannah, di Lutterworth, nel Leicestershire, Inghilterra centrale, era diventata oggetto dei peggiori insulti sul sito: qualcuno era arrivato a dire “se muori nessuno se ne accorgerà”. E lei lo ha preso alla lettera, impiccandosi.
E’ evidente che la legge Scalfarotto non nasce da interrogativi seri sul perché oggi i ragazzi siano sempre più fragili, diseducati, soli e inutilmente aggressivi; non si domanda neppure quale sia il modo opportuno per educare tutti, aiutare e sostenere i ragazzi e le ragazze più fragili . E’ invece una legge che ha chiaramente un altro scopo, ossia imporre alla collettività una determinata visione della omosessualità, che per secoli, da Platone a Kant, è stata considerata “contro natura”, o, per usare un’altra espressione, incapace di soddisfare i veri bisogni affettivi di una persona.